martedì 6 settembre 2011

Lontano dal paradiso

Ieri sera ho rivisto in Tv il film "Lontano dal paradiso", in cui si incrociano le tematiche del razzismo e dell'omosessualità in maniera abbastanza originale.
Ambientato durante gli ipocriti, patinati, ingessati e segregazionisti anni '50 questo film parla dell'impossibilità delle relazioni umane, impossibilità data dalla rigidissima gabbia sociale che soffoca ogni parvenza di libertà, spontaneità e amore vero.
Il fatto che la protagonista al centro del "triangolo" (che triangolo non è a dire il vero) sia una donna non è senza conseguenze nell'acuire la drammaticità delle storia: diversamente l'amore di un uomo bianco verso una donna di colore sarebbe sì stato disapprovato, ma avrebbe trovato altri modi clandestini per proseguire, occultandosi magari dietro i comportamenti "da padrone bianco con licenza". Lo stesso dicasi per l'omosessualità del marito della protagonista: se il marito fosse stata una moglie avrebbe certamente perso la possibilità di vedere i bambini, rimanendo tra l'altro con seri problemi economici (cosa che non succede a Dennis Quaid, l'attore che interpreta il marito).
Qui l'omosessualità per quanto deprecata è già nell'orizzonte delle cose che possono accadere - anche se ipotizzata come malattia o vizio; per gli uomini poi è relativamente facile viverla attraverso sotterfugi, luoghi di ritrovo, e quel codice maschile particolare che riesce ad andare al sodo nei posti e nei momenti più impensabili - nel film con pochi accenni si riesce a dare conto di tutto ciò.
L'amore interrazziale invece è tabù, qualcosa di impensabile anche per l'amica delle protagonista pur disposta alla comprensione più totale.
Questo film mi mette angoscia ogni volta che lo rivedo; la rete sociale fatta di tanti occhi indagatori, di tante gabbie invisibili ma pesantemente presenti mi ricorda tanto quella che vedevo io nella mia adolescenza, dove mi sembrava che le persone avrebbero addirittura potuto leggere nella mia mente il mio "innaturale" interesse per le ragazze. In quegli anni lontani avevo dentro di me gli anni '50 americani - un censore severissimo e disgustato che non mi lasciava altra alternativa che la dissimulazione.

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